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Al Bonelli di Cuneo alcuni sudamericani raccontano il dramma dei “desaparecidos”

15 maggio 2024 | 15:24
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Al Bonelli di Cuneo alcuni sudamericani raccontano il dramma dei “desaparecidos”

Dalla vivavoce di Graziella Alciati (per il marito Josè Louis Bonatto), Norma Moszkowski, Cecilia Diaz e del cileno Juan Carlos

Cuneo. Incontro molto coinvolgente ieri, martedì 14 maggio, al Bonelli di Cuneo sulle dittature militari nell’America Latina e su ciò che è successo ai giovani di allora, i “desaparecidos”. A raccontare il dramma della dittatura di Videla in Argentina e di Pinochet in Cile quest’anno sono stati gli argentini Norma Moszkowski, Graziella Alciati (per il marito Josè Louis Bonatto), Cecilia Diaz e il cileno Juan Carlos Gutierrez.

I relatori hanno rievocato con dolore quegli anni di sofferenze e di paure e hanno spiegato ai ragazzi quanto sia importante difendere i diritti naturali di ogni uomo, in particolare quello della libertà, non ancora scontata in qualche nazione. Ha iniziato l’incontro la signora Norma Moszkowski, che ha raccontato la sua esperienza, ciò che hanno fatto le madri del Plaza de Majo e l’associazione dei figli dei desaparecidos, oggi ancora attive in Argentina.

Graziella Alciati ha ricordato l’esperienza di suo marito (non presente perché malato), che è stato un desaparecido argentino e che si è salvato perché “scambiato” con altri giovani con una turbina italiana. Lui porta sul corpo e nel cuore i segni delle torture, delle offese, delle violenze: a 44 anni
ha preso un ictus, probabilmente causato dalle centinaia di bastonate ricevute in quegli annidi detenzione all’”ESMA” di Buenos Aires. Anche le gambe hanno risentito delle torture subite: ora lo reggono a stento, ma il suo spirito è ancora forte, combattivo come quello di allora. Sono questo spirito e questa fiducia nella pace e nella libertà che gli hanno permesso di resistere per tanto tempo alle torture e di salvarsi: Graziella, ricordando il suo pensiero, ha ricordato ai ragazzi quanto importante sia ieri come oggi l’amore per gli ideali e la capacità di perdonare… suo marito ha perdonato chi gli ha fatto del male, perché il male non va lontano… molti torturatori negli anni sono stati travolti dai rimorsi e dai fantasmi delle loro violenze… vivere così è già una punizione.

Juan Carlos Gutierrez ha raccontato cos’è successo in Cile sotto la dittatura di Pinochet: lui era un giovane universitario ai tempi del regime e sarebbe sicuramente finito allo STADIO di Santiago del Cile se sua madre non gli avesse impedito di uscire la mattina della manifestazione studentesca e non l’avesse chiuso in casa. Tutti i compagni di scuola, infatti, che avevano partecipato alla dimostrazione, finirono allo stadio e molti di loro morirono
nelle carceri clandestine dopo indicibili torture. Gutierrez ha ricordato anche il clima di tremenda tensione in cui i giovani vivevano, il coprifuoco e il terrore di uscire, la paura sotto il regime militare di parlare e di esprimersi. Queste paure, dopo il suo trasferimento in Italia, gli sono rimaste per parecchio tempo… perché il trauma che la violenza della dittatura lascia nei giovani e in chi la subisce resta
per sempre… i ricordi delle paure, delle sofferenze… arrivano quando meno te lo aspetti e ti tormentano. Per questo Gutierrez ha fatto riflettere i ragazzi sull’importanza che aprano gli occhi e credano nella solidarietà e nella democrazia: non possiamo più permettere a
nessuno di negarci il diritto alla libera espressione del pensiero, perché è un diritto conquistato con il sacrificio di tante persone: conservarlo vuol dire rispettare il dolore di chi è morto per ottenerlo o nel difenderlo. Juan Carlos Gutierrez, cileno, si è salvato grazie alla madre che gli ha impedito di andare in piazza il giorno in cui sono cominciati i rastrellamenti in Cile nei giorni della dittatura di Pinochet.