“Suona, suona, suona Luca Serra” l’ingegnere con la passione della musica
Luca Serra, conosciuto dai giovani come il dj del Cabiria, racconta così la sua prima esperienza in discoteca: “prima di iniziare ho pensato:”sono pronto?” Poi, sono salito sul palco e ho schiacciato play”.
Cuneo. Dalla passione del DJ alla laurea in ingegneria, dalla prima serata al Cabiria all’abbandono della musica, per poi ritornare dietro la consolle. Luca Serra, classe 1992 di Bernezzo, è da sempre conosciuto per l’instancabile voglia di mettere i dischi e per il motto “suona suona Luca Serra“. Una passione che lo caratterizza fino dai primi anni dell’adolescenza: “Era il 2009 quando io e Alessandro Garino (attuale fotografo del Cabiria Club, ndr) ci siamo messi a scaricare della musica e ci sentivamo tramite MSN, Messenger. Abbiamo iniziato ad andare a qualche festa di compleanno e ci spacciavamo come DJ: all’inizio tutto era per divertimento, poi ho scoperto una vera e propria passione”.
… Passione che hai coltivato?
“Sì, mi sono iscritto ad un corso di Dj al tempo tenuto da Alfredo Paolella, Alfred per tutti. Mi ha insegnato le basi della musica: come si mette a tempo, come si tiene la pista e come si gestisce il pubblico fino alla fine della serata. Con lui ho fatto le prime comparse in pubblico e poi ho iniziato a mettere dischi al Cabiria”.
Quindi metti i dischi o “suoni”?
“Io metto musica. Anche se nel linguaggio comune si dice che il DJ “suona”, sarà perché il verbo suonare è usato un impropriamente… pensa solo alla frase “suono il campanello”, di fatto premi un pulsante, non riproduci un accordo su uno strumento. Comunque, tolti questi particolari, il ruolo del Disc Jockey è quello di far ballare la gente, proponendo musica che piace. In fondo, per entrare in discoteca, si paga un biglietto ed è giusto che si esca dal locale soddisfatti”
Assecondi la pista o la “addestri” per far ascoltare musica nuova?
“Tutte e due. Chi va in un club si aspetta un certo tipo di musica e un certo tipo di gente, quindi il mio lavoro è quello di far divertire tutti. Non ti nego che propongo sempre un’alternativa alla musica commerciale che si sente dappertutto, lo faccio inserendo dei remix particolari e dei pezzi poco conosciuti… In questo modo mi diverto anche dietro alla consolle. Detto questo non sono né un jukebox né un musicista… Però se la pista è ferma, occorre rimediare al più presto”.
Che genere di musica metti?
“Principalmente hit e brani EDM. Anche il RAP mi piace, specialmente quello americano: ha dei temi che rispecchiano difficoltà della vita in certi posti. Non è vero che parlano solo di droga… Di italiani mi piace particolarmente SALMO, Fabri Fibra e Marracash”.
La tua prima serata in discoteca?
“Me la ricordo benissimo. Quella sera ricevetti la notizia e andai subito a trovare i miei amici che stavano cenando. Loro erano increduli. Tutta la sera fui agitato… Ok, non ero da solo, aprivo ad Alfred, però l’adrenalina era alle stelle. Prima di iniziare mi sono detto “sono pronto?” Poi, sono salito sul palco e ho schiacciato play”.
La serata più importante che hai fatto?
“Senza dubbio quella del Wake Up Music Festival (Mondovicino, ndr) davanti a circa 10 mila persone nel 2017. Quella sera c’erano J-AX e Fedez. Non ho dormito i due giorni prima per l’adrenalina e il giorno dopo per l’entusiasmo. Mi hanno avvisato circa due mesi in anticipo e quindi sapevo tutti i nomi dei guest: mi sono impegnato a non dirli a nessuno. La scena più bella è stata quando ho visto il mio nome sulla locandina, subito ho pensato. “La gente non è qua per me, sarà difficile farli divertite”. Poi sono salito sul palco e ho iniziato a proporre il mio set. Ad un certo punto della serata, nell’ala destra della pista ho iniziato a sentire un coro famigliare…. “suona, suona, suona Luca Serra”. Subito mi sono sentito a casa”.
Il 9 ottobre 2018 scrivi un post su Facebook: “Appendo le cuffie […] tante sono state le noti insonni che ho passato a capire se sia la scelta giusta […] per il momento è meglio concentrarsi su altro” Dopo un anno, il 16 settembre 2019 scrivi: “Non mi sono mai piaciute le storie senza un lieto fine, ed eccomi qua, 365 giorni dopo, con una voglia matta di tornare a divertirci insieme. #I’m Back”. Cosa ti è capitato in quell’anno?
“Quell’anno avevo la testa concentrata sulla tesi. Si trattava di un progetto molto importante (Analisi dell’impatto della tecnologia PTG, Power to Gas, sulle reti di distribuzione con elevata penetrazione di risorse rinnovabili) che comprendeva anche un fondo dell’Unione Europea. Era diventato il mio lavoro. Purtroppo non ero più tanto convinto della vita che stavo facendo e quindi ho deciso di prendermi un momento di pausa. Dopo la laurea ho trovato subito lavoro come progettista elettrico e ho scoperto che mi mancava mettere i dischi e far divertire la pista, quindi sono ritornato. Questa volta con una struttura nuova: faccio parte del Cabiria, insieme ad altri miei amici. Ognuno si occupa di un aspetto, il mio è quello della musica, se non fosse chiaro”.
Pensi che la “moda” del Dj sia passata? Cosa consigli a chi si vuole fiondare in quel campo?
“Sì, penso che si sia trattato di una moda, come quella del fotografo. Ora penso che sia un po’ passata e che il Rap abbia la meglio. Ad un ragazzo che vuole entrare nel mondo della discoteca, consiglio di dedicare tanto tempo all’ascolto dei brani e andare per step. Anche le feste di compleanno contribuiscono a far diventare grande un Dj”.
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Come conosco Luca Serra.
Di Luca Serra ho un ricordo particolare: era il 2010 quando per la prima volta venne a casa mia. Al tempo la mia consolle era un giocattolino, uno “strumento per capire se sia davvero una passione”. Mi diede qualche lezione, con umiltà. Avevo il dj del Cabiria a casa mia e usava la mia consolle… per me un motivo di vanto, considerando l’età (14 anni). Non si trovò bene con la mia consolle, disse che era poco precisa per la messa a tempo, così mi consigliò di comprare i Pioneer CDJ100, dei carri armati a detta sua. Così feci. Li comprai, 300 euro. Ora sono un pezzo di storia, mi misi a fare i cd audio con tutte le hit del momento. Luca me ne regalò due uguali: su entrambi c’era l’acapella (il vocale) e la base di Dynamite, Taio Cruz. L’esercizio era quello di metterle assieme di modo da non percepire che fossero due dischi. Mettere a tempo, insomma.
Poi mi ricordo il dannato vizio che avevo di battere il piede a tempo del brano che avevo in cuffia: “erroraccio, ti manda fuori. Il piede deve rimanere fermo, altrimenti ti frega” mi disse. Aveva ragione un’altra volta.
Dai CDJ 100 sono passato ai CDJ 350 avendo la possibilità di inserire le chiavette e non per forza fare i cd. Ammetto che, ancora oggi, mi piace sfogliare il mio album di dischi. Mi piace ricordare le canzoni che mettevo, quelle che andavano per la maggiore e quelle che scaricavano la pista. A fianco ad ogni brano c’era un colore o un commento, serviva per farmi ricordare il genere e la “fattibilità” per la pista. Ora, vuoi per il tempo, vuoi per l’eta, vuoi (lo ammetto) per la moda passata, è tutto rinchiuso in uno scatolone. Ogni tanto lo tiro fuori per fare qualche piacere a qualche amico. Lo scatolone prende polvere, gli strumenti anche. L’unica cosa viva è il ricordo di un periodo bellissimo fatto di relazioni, speranza e crescita personale. Ecco, queste cose non prenderanno mai polvere.