La possibilità a meno di ricorrere allo smart working ha creato delle disparità tra i lavoratori, ed è quanto emerge da uno studio dell’Inapp
Mentre dovrebbe essere prorogata la possibilità data alle aziende private di ricorrere allo smart working con la procedura semplificata, in scadenza il prossimo 31 luglio, uno studio dell’Inapp ha valutato se il lockdown, con l’opportunità per alcuni di poter lavorare da remoto e l’impossibilità di farlo per altri, ha accresciuto le disparità già esistenti prima della pandemia, arrivando alla conclusione che in effetti è ciò che è successo.
L’Inapp è l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche ed è un ente pubblico di ricerca, che svolge analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro e dei servizi per il lavoro, delle politiche dell’istruzione e della formazione, delle politiche sociali e di tutte quelle politiche pubbliche che hanno effetti sul mercato del lavoro. Dallo studio che ha condotto è risultato che “i lavoratori con un’alta attitudine al lavoro agile hanno in media un vantaggio salariale del 10%, che raggiunge il 17% tra i lavoratori con i redditi più alti”, generalmente uomini e di mezza età. In pratica, l’opportunità per alcuni di poter lavorare da remoto durante il lockdown ha accresciuto alcune disparità già esistenti prima della pandemia.
Chi ha la possibilità di telelavorare, avrebbe una retribuzione media annua che sfiora i 28 mila euro lordi, mentre non arriverebbe a 25mila per chi è a contatto col pubblico e che ancora adesso si trova in difficoltà per il momento economico e i cambiamenti in atto.
Il suggerimento che deriva dallo studio dell’Inapp è che l’eventuale diffusione del lavoro agile come modalità di lavoro ordinario dovrebbe essere affiancata da politiche di sostegno al reddito per i dipendenti più vulnerabili, e da politiche attive in grado di colmare potenziali lacune di competenze.