Cesare Romiti è morto: fu il braccio destro di Gianni Agnelli alla Fiat
Lo storico ad prima e presidente poi della multinazionale torinese si è spento all’età di 97 anni. Quelle incompatibilità con De Benedetti e Marchionne…
In queste ore l’intero Piemonte è stato colpito dalla notizia della scomparsa di Cesare Romiti, storico manager della Fiat, della quale ha ricoperto il ruolo di amministratore delegato dal 1976 e di presidente dal 1996 al 1998.
Nato 97 anni fa a Roma, il Dottore fu il braccio destro dell’Avvocato (Gianni Agnelli) ed entrò nell’organigramma aziendale, formando un triumvirato con Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti. I rapporti con quest’ultimo, tuttavia, non furono mai idilliaci, tanto che dopo soli 100 giorni di convivenza, l’ingegnere cedette le sue azioni Fiat e Romiti proseguì la sua ascesa all’interno della multinazionale torinese, chiudendo dopo solo un anno dal suo ingresso un importante accordo con i libici della Lafico, finanziaria del Governo guidato dal dittatore Muammar Gheddafi.
Fu il primo di una serie di importanti tasselli che caratterizzarono il suo cursus honorum, sino all’addio del 1998 e al tentativo di mettersi in proprio, con la società finanziaria Gemina e la società di costruzioni Impregilo, venendo però estromesso nel tempo da ambedue.
Romiti è stato uno dei volti più apprezzati della Fiat, anche e soprattutto per la sua capacità di influenzare il dibattito sociale e politico del Belpaese e in tanti, in questi anni, si sono lanciati in un parallelismo con Sergio Marchionne, che però lo stesso Romiti pareva non amare particolarmente. Prova ne è la sua dichiarazione rilasciata in occasione della fusione tra Fiat e Chrysler: “Faccio i miei auguri al Lingotto. Quando trattammo l’avvocato Agnelli e io per comprare Detroit da Lee Iacocca nel 1990 ci tirammo indietro, perché i debiti della società Usa rischiavano di trascinare a fondo noi. Mi auguro che oggi i conti di Chrysler siano diversi… Ma, è ovvio, spero che tutto vada bene. È indubbio che Marchionne sia stato un ottimo negoziatore. Ma non saprei dire chi ha salvato chi tra le due società”.
E ancora: “L’avvocato Agnelli e io siamo stati accusati di esserci lasciati sfuggire la Chrysler negli anni Novanta. Non è vero. Rinunciammo noi ad acquistarla, dopo molte riunioni e con dispiacere. Ma allora i conti non tornavano. Noi eravamo perplessi e Umberto Agnelli era addirittura profondamente contrario: i guai di Detroit rischiavano di affondare la Fiat“.