I Compagni di Mario Monicelli, Cuneo come la Torino di fine Ottocento
Nel 1963 il grande regista, reduce dal successo de La Grande Guerra, decise di girare a Cuneo molte delle scene collettive del suo film più ideologico, che racconta di uno sciopero operaio nella Torino della fine del XIX secolo.
Si inaugura oggi la rubrica di Cuneo24 intitolata “Girati in Granda”, che si propone di raccontare i principali film che, nel corso dei decenni e con alterne fortune, sono stati girati in parte o in tutto in alcune location della Provincia di Cuneo. Un viaggio che permetterà di analizzare come sono state “trattate” al cinema le location cuneesi, spesso trasformate in altre città per l’occasione, anche da alcuni dei più importanti registi del cinema italiano contemporaneo, con qualche incursione appena accennata di Hollywood, soprattutto negli anni più recenti.
Per tentare di raggiungere questo scopo, non si poteva che partire da uno dei film più interessanti di uno dei maestri del cinema italiano del Secondo Dopoguerra, vale a dire I Compagni di Mario Monicelli. Il film, datato 1963, rappresenta il ritorno del maestro romano alla commedia all’italiana “seria”, dopo lo straordinario successo ottenuto dal suo La Grande Guerra (Leone d’Oro a Venezia e instant cult apprezzatissimo al botteghino) e l’intermezzo naif di Risate di Gioia (con Totò e Anna Magnani). Il film del 1963 rappresenta inoltre forse la pellicola più ideologicamente schierata realizzata dal regista romano, dichiaratamente comunista e intenzionato a raccontare senza mezzi termini le condizioni precarie degli operai tardo ottocenteschi, che non erano poi così lontane da quelli a lui contemporanei. La pellicola racconta infatti la storia della comunità operaia di una fabbrica tessile torinese di fine Ottocento che, a seguito dei ripetuti incidenti sul lavoro, causati dalle 14 ore lavorative a cui erano costretti gli operai dell’epoca, decide di organizzare uno sciopero per richiedere la riduzione dell’orario di lavoro a 13 ore. Una decisione che è fomentata da un professore di liceo (Marcello Mastroianni) votatosi anima e corpo a sostegno dei diritti degli operai, che dà suggerimenti e stimola alla reazione i lavoratori, nonostante sia ricercato dalle forze dell’ordine per resistenza e aggressione verso un pubblico ufficiale durante una manifestazione. Gli operai, tra mille difficoltà e dubbi, resisteranno per più di un mese senza ritornare in fabbrica, ma alla fine non vedranno ripagati i loro sforzi, nel più classico dei finali amari delle commedie all’italiana dell’epoca.
E proprio quest’ultimo rappresenta uno degli aspetti più problematici che I Compagni ha portato con sé fin dalla sua uscita in sala: il collocamento del film in un genere ben preciso. L’opera fu un completo insuccesso al botteghino e per molta critica dell’epoca, soprattutto in virtù di una pellicola dal cast così ambizioso (oltre a Mastroianni, recitano Renato Salvatori, Annie Girardot, Bernard Blier e una giovanissima e debuttante Raffaella Carrà), proprio perché non fu del tutto compresa da pubblico e addetti ai lavori. Nelle intenzioni di Monicelli, I Compagni doveva essere un’opera “alla Grande Guerra”, vale a dire una pellicola che trattasse tematiche storiche e profondamente drammatiche, romanzandole e usufruendo dei mezzi espressivi tipici del genere italiano per antonomasia all’epoca, vale a dire quello della commedia. Una contraddizione solo apparente, perché, come spiegava in ogni occasione lo stesso regista, la commedia all’italiana deve la sua originalità e il suo successo proprio a questo ossessivo ricorso all’umorismo pirandelliano, alla risata amara. Nei film con protagonisti Sordi, Gassman, Tognazzi e lo stesso Mastroianni si ride, spesso tanto e di gusto, ma in ultima istanza il sentimento che finisce per prevalere, pur rimanendo in sottofondo e mai “scoppiando” del tutto, è proprio quello del pessimismo, della consapevolezza dei propri limiti e dei propri tic, tipicamente italiani (il caso forse più emblematico in questo senso, va ricercato in film come Il Sorpasso di Dino Risi). La pellicola del 1963 però, forse proprio in virtù di questo titolo inequivocabile, venne accolta come dramma storico-politico su una tematica, quella delle lotte operaie e del socialismo, che era una specie di spauracchio nell’Italia del Boom. La conseguenza fu che il film ne uscì indebolito sia come commedia all’italiana che come film “serioso”, per via di un certo bozzettismo nella rappresentazione dei personaggi che mal si adattava ai generi esterni alla commedia, non venendo esaltato quanto avrebbe meritato (nonostante la candidatura all’Oscar per la miglior sceneggiatura a Monicelli e il duo Age-Scarpelli). Rimase comunque, a detta dello stesso regista romano, uno dei film preferiti tra quelli da lui realizzati.
Dal punto di vista strettamente produttivo il film rappresentò una vera e propria sfida per Monicelli. Nell’Italia ormai ampiamente industrializzata e urbanizzata del 1963, era difficile trovare location che si adattassero, con la precisione “filologica” che ha sempre caratterizzato le opere del regista romano, alla realtà industriale di fine Ottocento, che aveva ancora molto da spartire con l’artigianato organizzato. E così il film, benché ambientato a Torino, fu girato per larga parte nella Jugoslavia di Tito, “indietro di trent’anni rispetto al Bel Paese” come sosteneva Monicelli, e a Cuneo, con qualche esterno girato anche a Roma. La nostra città è protagonista di alcune delle più suggestive scene del film e dà davvero l’impressione di poter essere confusa con le strade porticate del capoluogo piemontese.
In particolar modo sono quattro i momenti dove si possono contemplare scorci più o meno evidenti di Cuneo. In primis la scena dell’incontro tra il professor Sinigaglia (Mastroianni) e la prostituta dal cuore d’oro Niobe (Girardot), interamente ambientata all’esterno e all’interno dello storico Caffè Arione di Piazza Galimberti, perfetta espressione dei café alla parigina delle città tardo ottocentesche. La scena è preceduta da una splendida veduta di Piazza Galimberti, dalla quale giunge il professore prima di entrare nel locale. Collegata alla precedente, ma solo per lo spettatore cuneese, è poi la scena che vede protagonisti sempre i due personaggi sopra citati, questa volta nel pied-à-terre di Niobe, che nel film viene spacciato per lontano dal caffè, ma che in realtà sorge nell’appartamento esattamente accanto al locale, in Corso Nizza 2. Vediamo distintamente Mastroianni affacciarsi dal balconcino sotto i portici per raccogliere l’invito di un suo compagno a raggiungere il comizio degli operai. Per non svelare lo stratagemma, si può notare come la produzione abbia ricoperto di cartelloni pubblicitari differenti rispetto alla scena precedente l’angolo con la Piazza, ora non riconoscibile ad occhi non cuneesi. La terza scena totalmente cuneese è quella ambientata sotto i portici di Via Roma, di fronte e all’interno delle botteghe prese d’assalto dagli operai per accumulare i viveri necessari a resistere durante lo sciopero (in modo particolare all’altezza del civico 16). In ultimo, quella che è di fatto la scena manifesto del film, vale a dire quella del comizio decisivo del professor Sinigaglia, girata sotto la tettoria di Piazza Virginio, con alle spalle il complesso monumentale di San Francesco, nella quale il professore convince gli operai stremati a non arrendersi e ad occupare la fabbrica.
È consigliabile vedere sempre e comunque i film di Monicelli e in generale dei maestri del nostro cinema, che in modo particolare in questi decenni brillavano di una luce propria ineguagliabile in giro per il mondo. Lo stesso I Compagni è ancora, oltre che un film “importante” per la storia del cinema italiano, una pellicola estremamente godibile, nella quale vengono tra l’altro trattate anche alcune tematiche molto interessanti per l’epoca, come l’emancipazione femminile e il femminismo (con diverse battute semplicemente fulminanti) e l’emigrazione, con la storia pietosa e attuale all’epoca come oggi, molto vicina allo stile neorealistico che fa capolino in molti momenti del film, dell’operaio siciliano, da tutti crudelmente chiamato Mustafà e alla fine in grado di impietosire i suoi compagni. Ma è anche un film che tutti i cuneesi dovrebbero vedere almeno una volta nella vita, perché permette di fare un tuffo nel passato e di poter constatare come la nostra città, qui rappresentata nei suoi luoghi più suggestivi, sia e sia sempre stata bellissima e di grande appeal anche per registi così importanti. Anche quando Cuneo non vuole essere Cuneo, la sua bellezza rimane intatta e immutabile nel tempo. Le cronache dell’epoca ci dicono, inoltre, che l’esperienza del set de I Compagni, fu estremamente partecipata dai cittadini dell’epoca, con decine di curiosi che fecero le comparse o che semplicemente passeggiarono intorno al set per scorgere alcuni dei divi del cinema italiano dell’epoca (Mastroianni era diventato l’icona che è ancora oggi tre anni prima con La Dolce Vita). Quasi ogni cuneese dell’epoca si ricorda almeno un aneddoto, un racconto, un episodio di quel set, di fatto la prima grande produzione cinematografica giunta nella nostra città.
Un film, insomma, da riscoprire, soprattutto per i cinefili cuneesi, che può essere recuperato gratuitamente su Rai Playa questo link.