Ottant’anni fa a Cuneo il discorso di Duccio Galimberti che diede il via alla Resistenza
Il 26 luglio del 1943, il giorno dopo l’arresto e la deposizione di Benito Mussolini, l’avvocato cuneese si affacciò dal balcone di casa sua per pronunciare uno dei discorsi più importanti della storia del nostro Paese. Parole che, ancora oggi, suonano come un autentico inno alla libertà e alla lotta contro l’ingiustizia.
Esattamente ottant’anni fa nella piazza centrale di Cuneo si è scritta una pagina fondamentale della storia d’Italia. Il 26 luglio 1943, il giorno dopo la deposizione e l’arresto di Benito Mussolini, l’avvocato cuneese Duccio Galimberti si affacciò dal balcone di casa sua, nella piazza che oggi porta il suo nome (all’epoca era intitolata a re Vittorio Emanuele II) per pronunciare uno dei discorsi più importanti della storia italiana.
Parole che sono considerate il manifesto della Resistenza italiana, il suo atto di nascita, circa due mesi prima rispetto all’8 settembre, che ne sancirà, la sua concretizzazione sul campo. Parole che emozionano ancora oggi, se si pensa al coraggio dimostrato dal personaggio che le ha pronunciate solo poche ore dopo un avvenimento tanto atteso quanto imprevedibile nei suoi sviluppi immediati. Parole di una lucidità impressionante, sia nell’analizzare le ragioni storico-culturali che portarono a quello stato di cose e la vergognosa assurdità rappresentata dal regime fascista nella storia del nostro Paese (i frequenti riferimenti al Risorgimento e alla Prima Guerra Mondiale), sia nel porre le basi per le politiche future. Galimberti parla di europeismo, di giustizia (e non di vendetta), di amore per il proprio Paese, nonostante tutte le derive vissute in quell’ultimo ventennio o forse proprio in virtù di esse, di voglia di sacrificarsi per esso, stringendo i denti di fronte all’incubo dell’inevitabile guerra civile. Parole che ha senso leggere ancora una volta (e sempre) integralmente.
“Cittadini di Cuneo, Italiani,
la notizia che da tanto tempo attendevamo è giunta. Mussolini è stato deposto o, come dice l’eufemistico comunicato di Sua Maestà il Re, ha rassegnato le dimissioni. Da giorni aspettavamo qualcosa del genere. La situazione militare e sociale dell’Italia si era fatta insostenibile. Ogni giorno nuove sconfitte si aggiungevano a quelle patite sul fronte africano e su quello russo. Metà della Sicilia è stata occupata dagli Angloamericani. Ogni giorno centinaia di soldati italiani cadono in combattimento e tanti civili muoiono sotto i bombardamenti. Molte città sono colme di macerie.
Dove non si muore per armi, si rischia di morire di fame. Manca il pane, manca l’indispensabile per vivere. Siamo arrivati a questo punto per una guerra assurda imposta al paese da una dittatura che ha distrutto non solo la vita pubblica della nostra patria, ma anche la sua dignità e il suo onore. L’iniziativa del Re è stata accolta con tripudio dal popolo italiano. Ovunque la folla festante invade le piazze, abbatte i simboli del regime, riscopre la gioia del parlare di politica, di lanciare slogan senza il terrore della denuncia e dell’arresto. Tutti noi partecipiamo a questo sentimento. Tutti noi viviamo il senso di liberazione che la caduta della dittatura suscita. Ma non lasciamoci prendere dall’entusiasmo ingenuo. La deposizione di Mussolini non riporta indietro le lancette della storia, come se vent’anni di regime non fossero mai esistiti e l’Italia potesse riavere di colpo libertà, pace e benessere.
Il Duce non è stato travolto da una rivoluzione popolare, ma da una manovra di palazzo. Anche noi sentiamo gridare “Viva il Re”, “Viva Badoglio”, sappiamo però che la rottura fra il Re e Mussolini è giunta molto tardi, dopoché tanto sangue italiano è stato vanamente versato per soddisfare le ambizioni sfrenate di un dittatore. Ancor più siamo preoccupati per gli obiettivi che intende perseguire il nuovo Governo e per i metodi con cui vuole agire. Il maresciallo Badoglio, ora primo ministro, nel suo messaggio alla nazione ha dichiarato: “La guerra continua a fianco dell’alleato germanico. L’Italia mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni” e ha aggiunto “chiunque turbi l’ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito”. Ora io mi chiedo: come può continuare la guerra a fianco dei tedeschi e come possono al contempo le millenarie, o anche solo secolari, tradizioni nazionali essere rispettate? Il balcone da cui vi parlo, affiancato da tanti amici, sinceri patrioti, di diverso orientamento politico, è quello stesso dal quale nel novembre 1918 mio padre assieme con voi cuneesi salutò la battaglia di Vittorio Veneto, la sconfitta degli Imperi centrali e, con la liberazione di Trento e Trieste, il compimento del Risorgimento. È contro il dominio austrogermanico che il popolo italiano ha dovuto combattere per conquistare la sua indipendenza. E allora, se crediamo nel destino e nel senso della storia dell’Italia, noi ribattiamo che, sì, la guerra continua, ma fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana. Ma forse, potrebbe obiettare qualcuno, il Re e Badoglio agiscono in modo contraddittorio e occulto perché pensano di poter gradualmente uscire dal conflitto senza che l’Italia debba patire danni ulteriori. Come pensano di poter ingannare i tedeschi?
Da quando gli Angloamericani sono sbarcati in Sicilia, molte Divisioni tedesche hanno attraversato le Alpi e non tutte si sono dirette in Sicilia a combattere, ma hanno preso posizione in altri punti strategici della penisola. L’invasione dell’Italia da parte germanica è già cominciata. Per questo non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani. Il Re e Badoglio con le loro mosse miopi e grette rischiano di consegnarci indifesi e impreparati nelle mani di un feroce occupante. Rischiano anche di far risorgere o lasciar vivere più rigoglioso di prima il fascismo, anche se orfano del Duce. La Milizia è stata messa al sicuro, inserendola nell’Esercito: un riconoscimento mai ottenuto neppure negli anni di maggior forza del regime. I fascisti possono continuare a camminare impettiti per le strade e esibire il loro potere. Gli antifascisti che in questi anni hanno osato sfidare il carcere o il confino, restano in prigione, e molti altri sono destinati a raggiungerli in quei luoghi di sofferenza. Mentre io parlo, le autorità militari stanno traducendo in bandi le direttive di Badoglio e del generale Roatta, che impongono il coprifuoco, proibiscono ogni manifestazione e minacciano il ricorso alle armi contro i civili. Sono ordini spietati che vengono motivati con le esigenze di guerra. Ma la loro guerra è incompatibile con la volontà di liberazione e di rinnovamento del paese. L’Italia vuole liberarsi dal giogo della dittatura e vuole anche farla finita con la barbarie nazista che tante rovine ha portato all’Europa. La guerra continuerà, perché i tedeschi e i loro complici fascisti non rinunceranno a perdere le posizioni di forza possedute in Italia. La guerra dovrà quindi continuare, ma non sarà quella di cui parla il maresciallo Badoglio: sarà guerra di Liberazione contro i tedeschi e i fascisti. Il prezzo da pagare sarà alto e andrà ad aggiungersi a quelli già pagati dall’inizio della guerra, anzi i patrioti saranno costretti a prendere le armi non solo contro i tedeschi, ma anche contro i fascisti. Sarà una pena atroce, combattere contro degli italiani, ma inevitabile. Pensate: come è possibile che una nazione la quale per vent’anni ha sopportato le continue violazioni dei diritti e della dignità umana da parte di una dittatura, fino alla proclamazione delle guerre di aggressione, in poche ore ne venga liberata dall’alto da chi fino a ieri spartiva il potere con Mussolini oppure da un esercito straniero, sia pure inviato da paesi democratici? No, il Risorgimento non sarebbe stato possibile senza il sangue versato dai cospiratori di Mazzini, senza l’eroismo e l’audacia di Garibaldi. Solo una libera scelta, compiuta dal basso, di massa, può riscattare gli Italiani dalla vergogna di vent’anni di fascismo. Sarà una guerra popolare e nazionale; dunque, combattuta volontariamente dal popolo preparato e guidato da chi è consapevole della gravità del momento storico. Una guerra che esige, accetta ed anzi cerca, il sacrificio non mai è sterile, mai. Soltanto essa, tramontate le menzogne e le illusioni del regime, può creare i nuovi valori morali di cui l’Italia ha bisogno.
Soltanto essa può garantire all’Italia quella vera pace a cui aneliamo, contribuendo alla costruzione di un nuovo ordine europeo democratico e confederale. Non potrà essere una parte politica sola a costruire o ricostruire quei valori. Proprio qui nel mio studio, si sono or ora incontrati esponenti dei Partiti liberale, socialista e comunista, della Democrazia Cristiana e del Partito d’Azione. Assieme abbiamo costituito un Comitato provinciale provvisorio che lancerà un appello alla popolazione. Chiediamo giustizia, non vendetta. Vogliamo che le insegne fasciste siano rimosse anche dai luoghi presidiati dalle forze militari, al gen. Vasarri comandante di zona avanzeremo questa richiesta e inoltre chiederemo che le direttive sull’ordine pubblico siano applicate con prudenza e buon senso. Dodici ore fa, dopo vent’anni di oppressione, abbiamo riconquistato la libertà. Non vogliamo separarcene mai più.
W l’Italia, W la libertà!“.