23 agosto 1927: la morte sulla sedia elettrica di Sacco e Vanzetti
Ricorre oggi il novantaseiesimo anniversario di uno dei casi giudiziari più controversi della storia, dimostrazione dell’odio diffuso nei confronti degli italiani emigrati in vari paesi, in questo caso negli Stati Uniti. Bartolomeo Vanzetti era originario di Villafalletto.
Ricorre oggi, 23 agosto, il novantaseiesimo anniversario di una delle pagine più buie della storia dell’emigrazione italiana: l’esecuzione sulla sedia elettrica di Ferdinando Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Di origine italiana entrambi (Vanzetti era di Villafalletto) i due emigrarono negli Stati Uniti nel 1908, alla ricerca, come molti giovani italiani all’epoca, di lavoro, con l’idea di fare fortuna e, magari, ritornare nel loro paese. Vanzetti aveva soltanto vent’anni.
A differenza di Sacco, originario di Foggia e spinto oltreoceano dalla fame, Vanzetti emigrò a seguito della morte della madre Giovanna, che gestiva insieme al marito una caffetteria nel paese. Questo evento segnò Bartolomeo fino quasi alla follia e così il giovane cuneese prese il primo transatlantico per gli Stati Uniti, da lui definiti “Autentica Terra Promessa”. Probabilmente nella sua decisione pesò anche una sorta di tradizione famigliare, visto che anche il padre, in gioventù, aveva vissuto per qualche anno come emigrante (in California).
Le storie dei due, pur non entrando mai in contatto diretto se non negli anni del processo, furono simili. Sacco cominciò a lavorare in una fabbrica di calzature e si sistemò a Milford, in Massachussetts, dove sposò l’italiana Rosina Zambelli, dalla quale ebbe due figli, Dante e Ines. Vanzetti fece qualsiasi tipo di lavoro, dal cameriere in varie trattorie al minatore all’operaio nelle acciaierie, fino al lavoro definitivo come pescivendolo. Entrambi si attivarono anche politicamente organizzando alcuni scioperi e informando i loro colleghi dei diritti dei lavoratori, più avanzati in Europa. Si iscrissero anche ad un gruppo anarchico di italoamericani, e fuggirono in Messico per tutta la durata della Grande Guerra per evitare la chiamata alle armi. I loro nomi cominciarono a diventare noti alle forze dell’ordine come sovversivi a livello politico e, quando nel 1920 Andrea Salsedo (originario di Pantelleria) fu trovato morto a seguito della caduta dal quattordicesimo piano del grattacielo dov’era tenuto illegalmente prigioniero, sia Sacco sia Vanzetti cominciarono a protestare a gran voce contro la vicenda. Trovati in possesso di una rivoltella, i due furono accusati di una rapina avvenuta qualche giorno prima ed arrestati prima della manifestazione.
Le prove contro di loro erano debolissime, ma i due italiani rappresentavano i capri espiatori perfetti per portare avanti la politica del terrore del ministro della giustizia Alexander Palmer: erano italiani, considerati dalla mentalità wasp americana notoriamente propensi alla criminalità, anarchici e quindi distantissimi dall’ideologia politica a stelle e strisce, e persino stentati nel comprendere e parlare la lingua inglese. Bisognava dare un segnale alla popolazione per tranquillizzarla rispetto al “pericolo rosso” che già in quegli anni era molto radicato nell’opinione pubblica statunitense (pur non considerandosi nessuno dei due comunisti). Passarono così ben sette anni in carcere e vennero condannati a morte.
Persino Benito Mussolini, nonostante lo spiccato anarchismo che caratterizzava i due italiani, prese una netta posizione contro l’ingiusta condanna dei tribunali statunitensi, e un mese prima dell’esecuzione, dopo aver invocato più volte la grazia per i due, scrisse addirittura una lettera all’ambasciatore americano a Roma per salvare la vita a Sacco e Vanzetti. Tutti sforzi che si rivelarono vani, come quelli dell’opinione pubblica sia italiana sia americana, che si mobilitò invano per ottenere la scarcerazione di entrambi.
Durante il processo Bartolomeo Vanzetti, appassionato lettore e uomo di grande cultura, pronunciò queste famosissime parole: “Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra — non augurerei a nessuna di queste creature ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un anarchico, e davvero io sono un anarchico; ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano. Se voi poteste giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già.” Intorno alla mezzanotte del 23 agosto 1927 i due anarchici furono giustiziati nel carcere di Boston a distanza di sette minuti l’uno dall’altro (Vanzetti fu il secondo) e in tutto il mondo si scatenarono nelle piazze manifestazioni di protesta e indignazione contro l’accaduto.
Un caso scandaloso di razzismo e odio nei confronti delle minoranze, che ancora oggi risulta estremamente attuale. Cinquant’anni dopo l’accaduto, il governatore del Massachussets Michael Dukakisammise l’errore nel processo contro Sacco e Vanzetti pronunciando queste parole: “Il processo e l’esecuzione di Sacco e Vanzetti devono ricordarci sempre che tutti i cittadini dovrebbero stare in guardia contro i propri pregiudizi e contro l’intolleranza verso le idee non ortodosse, con l’impegno di difendere sempre i diritti delle persone che consideriamo straniere, per il rispetto dell’uomo e della verità”.
Nel ricordare oggi i nostri due connazionali ingiustamente condannati a morte Amnesty International Italia scrive: “Sacco e Vanzetti furono uccisi sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927. Vittime del pregiudizio e dell’intolleranza nei confronti degli italiani e degli anarchici pacifisti quali erano. Vittime della logica secondo cui, chi è diverso e non la pensa come noi, è un nemico da schiacciare”. Quello di Sacco e Vanzetti è un episodio che, a distanza di quasi cento anni, deve ancora indignare e far pensare la società, soprattutto in un periodo come questo, dove si annunciano nuovi flussi migratori in arrivo in Europa. Il razzismo e l’intolleranza verso chi viene da lontano ha radici lontane, come dimostra il caso Sacco e Vanzetti. Radici che in una società civile dovrebbero essere estirpate unanimamente dalla politica nei Parlamenti e dall’opinione pubblica nella vita di tutti i giorni.