Oggi si commemora il Porrajmos, la Shoah di Rom e Sinti

2 agosto 2023 | 09:31
Share0
Oggi si commemora il Porrajmos, la Shoah di Rom e Sinti

La data del 2 agosto è stata istituita come “giorno del ricordo” per le popolazioni romaní deportate dai nazisti nei campi di sterminio. Nella notte tra il 2 e il 3 agosto 1944 quasi tremila Rom furono barbaramente uccisi a Birkenau, a seguito di un tentativo di rivolta.

Il 2 agosto è una data sacra nel calendario delle commemorazioni storiche riguardanti le crudeltà della seconda guerra mondiale. Si commemora infatti oggi il cosiddetto Porrajmos, vale a dire il “grande divoramento” delle popolazioni romaní (Rom, Sinti, Manush, Kalé ed altri gruppi con diverse autodenominazioni) perpetrato dai Nazisti nei campi di concentramento e di sterminio allestiti nel corso del secondo conflitto mondiale.

Una storia, quella delle persecuzioni e dello sterminio dei Rom e Sinti, complessa e troppo spesso dimenticata, ma che ha prodotto numeri inquietanti. Le stime parlano di almeno mezzo milione di persone appartenenti a questi gruppi sterminate nei lager, in un’operazione di pulizia etnica drammatica come quella perpetrata a danno degli ebrei. Una storia che presenta anche molte analogie con quella delle popolazioni ebraiche. Anche i cosiddetti zingari furono guardati con sospetto e diffidenza fin dall’epoca medievale e perseguitati con forza dalla Chiesa e da quasi tutte le altre istituzioni politiche, come dimostrano anche molte opere letterarie (Notre-Dame de Paris di Victor Hugo su tutte). L’aspetto che generava maggiore sospetto era specialmente la natura nomade di questi popoli, che ben presto vennero accusati di tutti i mali del mondo, dalla stregoneria alla propensione al furto, tanto che con la Riforma Protestante (1517-1521) fu severamente vietato l’accattonaggio, attività principale dei gitani, con punizioni che potevano facilmente raggiungere la pena di morte. L’epoca dell’Illuminismo migliorò sensibilmente le condizioni di vita dei romaní, cancellando molte di queste norme, ma le cose precipitarono definitivamente nel corso del Novecento, in un’altra drammatica analogia con la vicenda ebraica. Già prima e durante la Repubblica di Weimar, infatti, gli zingari cominciarono ad essere controllati e monitorati da speciali corpi di polizia, fino ad essere schedati in massa nel Zigeuner-Buch, il testo che dal 1905 aveva cominciato ad elencare i gruppi genealogici appartenenti all’etnia Rom.

Con l’ascesa al potere di Adolf Hitler e l’instaurazione del Terzo Reich, le cose precipitarono ulteriormente. I romaní erano universalmente interpretati come un “miscuglio pericoloso di razze deteriorate” (parole di Robert Ritter, direttore del Centro Ricerche per l’Igiene e la Razza) dall’intellighenzia nazista e come tali perseguitati da subito con grande vigore. In tutta la Germania erano circa 25mila le persone appartenenti a queste etnie. Molti di loro erano assolutamente integrati nella società tedesca dell’epoca, diventando spesso anche stanziali e lavorando soprattutto come saltimbanchi ed intrattenitori, talvolta prendendo persino parte al servizio militare per la Germania. La propaganda nazista, però, ben presto li dichiarò nemici dello Stato in quanto non ariani e li rese invisi a tutta la popolazione. I pregiudizi e le discriminazioni erano all’ordine del giorno e si ampliarono anche ai territori conquistati dalla Germania dopo il 1939 (soprattutto in Polonia, dove era presente circa lo stesso numero di romaní della Germania). Nel 1940, due anni prima della “soluzione finale”, Ritter arrivò a proporre la sterilizzazione forzata di tutti gli zingari, previo obbligo di autorizzazione firmata da parte delle stesse vittime, documenti che verranno addotti a propria discolpa dai nazisti durante il Processo di Norimberga. Alla fine però la strada della sterilizzazione fu in generale accantonata e sostituita dalla deportazione dei romaní nei lager (dove nonostante tutto vennero ancora sterilizzate molte donne appartenenti a queste etnie). Anche in Italia, negli stessi anni, le popolazioni romaní vennero perseguitate e ghettizzate in modo analogo.

Giunti nei lager, gli zingari furono vittima di tutte le atrocità dei campi di sterminio, dai lavori forzati fino allo sfinimento, alle torture dei soldati agli esperimenti eugenetici di Mengele, con i numeri che abbiamo esposto in precedenza. Nel maggio del 1944, i romaní del lager di Birkenau si resero protagonisti di un’eroica rivolta. Avvisati anticipatamente dell’arrivo delle SS, i prigionieri imbracciarono qualsiasi corpo contundente che potesse fungere da arma e respinsero provvisoriamente i loro carcerieri. La vendetta dei soldati tedeschi però non si fece attendere e l’esecuzione dei riottosi e delle loro famiglie fu posticipata al 2 agosto, previo trasferimento a Buchenwald degli uomini più forti, in modo da scongiurare un’eventuale altra rivolta. E così nella notte tra il 2 e il 3 agosto 2 897 zingari tra uomini, donne e bambini furono giustiziati nel crematorio numero 5 dalle SS. I testimoni ebrei sopravvissuti al lager ricordano quello come uno degli episodi più drammatici, anche perché i romaní erano gli unici prigionieri che nonostante tutto continuarono a suonare degli strumenti musicali e a cercare di allietare il morale dei loro compagni di sventura. Dopo la loro scomparsa a Birkenau non risuonò più nessuna melodia fino al 27 gennaio 1945.

Il Porrajmos non è stato minimamente considerato come tragedia da commemorare almeno fino agli anni Sessanta del Novecento, anche se ancora oggi sono in molti a non parlarne e a non conoscere assolutamente nulla di questa tragedia. Il Comune di Cuneo nel 2019 ha imposto il 2 agosto come “Giornata del ricordo” del Porrajmos, chiedendo al Parlamento Italiano di attuare la stessa decisione su scala nazionale, come già fatto dalla Spagna nel 2016 e da molti paesi dell’est-Europa, particolarmente sensibili a tale tragedia. Decisione non ancora presa dal Parlamento, che continua ad ignorare una delle pagine più drammatiche della seconda guerra mondiale.