Le nostre domande all’artista cuneese che da vent’anni lavora nel mondo dell’illustrazione di libri per l’infanzia a Milano. Centinaia i progetti a cui ha preso parte, tra cui anche diversi libri all’estero.
Nell’ambito del ciclo di interviste “L’8 marzo di Cuneo24” abbiamo fatto alcune domande a Sara Benecino. Nata a Cuneo nel 1973 e cresciuta a Bernezzo, dopo il Liceo Artistico a Cuneo ha deciso di trasformare la sua passione per il disegno in una professione, trasferendosi a Milano e iniziando a lavorare nel mondo della grafica prima e in quello dell’illustrazione di libri per bambini poi. Dal primo progetto datato 20 anni fa (le illustrazioni per La mongolfiera di Mario Lodi per le Edizioni San Paolo) ad oggi, sono centinaia le opere a cui ha lavorato, compresi diversi progetti all’estero, tra cui una serie di libri per la fascia 0-3 da lei scritti ed illustrati per il mercato cinese, tra i più distanti dai canoni italiani.
– Com’è nata la tua passione per il disegno?
È nata assolutamente per caso. Più che altro io da piccola ho sempre avuto una passione per la scrittura, tanto che ho avuto anche diverse amiche di penna che venivano da Torino a passare le estati a Bernezzo, il mio paese. Poi, intorno ai 15 anni ho capito che quello che volevo fare da grande era disegnare. Non conoscevo ancora il mestiere dell’illustratrice, volevo solo disegnare. Allora ho fatto il Liceo Artistico e un anno di accademia lì a Cuneo, ho lavorato in una tipografia, dove mi sono innamorata di tutto quello che c’è dietro ai libri, poi ho lavorato come grafica prima a Cuneo e poi dopo essermi trasferita a Milano. Lì ho fatto anche un corso di grafica e mi hanno assunto in un’agenzia pubblicitaria. Da lì è partito tutto, soprattutto dopo che nel 2004 Lodovica Cima e Fulvia Degl’Innocenti, due amiche autrici, mi hanno accolta e fatto entrare nel mondo dell’illustrazione. Da quando ho 15 anni comunque io disegno letteralmente tutti i giorni, anche in vacanza.
– Come funziona il tuo mondo? Com’è cambiato il tuo modo di lavorare e presentarti agli editori nel corso degli anni?
Il nostro lavoro non è pagatissimo, non tutti riescono a vivere con questo tipo di lavoro. Tant’è che all’inizio facevo sia la grafica sia l’illustratrice, per provare a entrare in questo mondo con maggiori garanzie a livello economico. Poi col tempo sono diventata freelance. Ho fatto ancora cose come dipendente, come insegnare per tre anni alla Scuola di Fumetto di Milano, ma mi sono costruita dei contatti con diverse case editrici con cui ho cominciato a lavorare senza posa, come su tutte le Edizioni San Paolo. Faccio ancora lavori di grafica ogni tanto perché comunque è un lavoro che ti impegna per molto meno tempo che fare un libro, quindi quando riesco tra un libro e l’altro incastro qualcosa di grafico. Si comincia a mandare il portfolio alle case editrici, nel corso degli anni ho anche cominciato a scrivere progetti interamente miei, anche all’estero. Fondamentale per chi lavora in questo settore è la Fiera del Libro di Bologna, dove io come tanti mi costruisco letteralmente il lavoro per l’anno successivo e mi metto in contatto con tutti i più importanti editori del mondo.
– Quante sono le opere a cui hai lavorato fino ad oggi?
Come libri illustrati sono intorno ai 150. Poi ci sono tutte le altre collaborazioni di altro tipo, come quelle con Helan Cosmetici o Caffarel per cui ho illustrato diverse confezioni. Ovviamente la cosa che mi rende più orgogliosa sono i progetti scritti interamente da me che riesco a piazzare presso qualche editore.
– Tu sei partita da Cuneo e sei arrivata a collaborare con veri e propri colossi di questo mondo: Mondadori, Giunti, Gribaudo, San Paolo e molte altre. Se ti guardi indietro quali sono le tue emozioni e sensazioni nei confronti del tuo percorso?
Ho fatto questa riflessione lo scorso novembre, quando sono stata invitata come ospite a Scrittorincittà. Per me è stata un’emozione fortissima, tanto che mi sono commossa durante l’intervista. Sono partita da Cuneo come una perfetta sconosciuta e ai giovani di Cuneo auguro di non smettere mai di sognare e di cercare in tutti i modi di realizzare i loro sogni. Sono molto orgogliosa perché quando sono partita io l’illustrazione non esisteva proprio nella logica del nostro territorio. C’era proprio un altro tipo di mentalità. Ancora oggi come città Cuneo è molto isolata. Poi sono arrivata a Milano e lì mi si è aperto un mondo, l’unico contesto nel quale potevo davvero realizzare il mio sogno di disegnare, perché ti permette di entrare a contatto con tutti gli editori. Cuneo sarà per sempre nel mio cuore ma il mio sogno si è realizzato altrove. Tutto quello che posso fare è ringraziare la me di ieri per quello che sono oggi, perché non posso dire che sia stato facile, ma è stato fatto comunque.
– Lavori prevalentemente per l’infanzia. Quali sono le specificità di questo tipo di mondo?
Lavoro moltissimo sull’età prescolare e sull’età corrispondente alle elementari, sulla fascia 0-3 per quanto riguarda i progetti che scrivo io. Innanzitutto bisogna dire che i bambini sono puri e semplici, non si può girare troppo intorno alle cose che si vogliono dire e raccontare. Non servono parolone ma la semplicità. Detto questo i bambini non sono stupidi, quindi quando parli con loro bisogna sempre tenere in conto che si ha di fronte una persona pensante, con un suo cervello che funziona a modo suo ma funziona a tutti gli effetti. Poi i bambini vanno sempre stupiti, quando si scrive bisogna cercare di farli rimanere incantati, senza essere mai banali. Anche dal punto di vista dell’illustrazione, bisogna cercare di avere un cervello da bambino e quello devo dire che mi è rimasto. All’inizio ero molto “precisina” nei miei disegni e ho dovuto imparare a riaccendere il mio cervello da bambina per poter lavorare al meglio con loro. Mi piace meno lavorare con la fascia d’età delle scuole medie perché cominciano ad esserci altre dinamiche, come la pubertà e l’adolescenza e c’è meno da divertirsi secondo me. Prima invece è divertentissimo perché bisogna ricordare per esempio che fino ai 7 anni i bambini fanno fatica a leggere quindi l’illustrazione ha un peso importantissimo. Anche proprio nella scelta dei toni e dei colori ogni età e ogni progetto ha i propri, che bisogna capire e mettere in atto. Per questo cerco di padroneggiare più stili possibili, perché almeno si ha più probabilità di lavorare e adattarsi ad ogni progetto.
– Hai percepito nel corso della tua carriera difficoltà professionali legate al fatto che tu sia una donna? Nel tuo settore percepisci una grande disparità di trattamento, economico e non solo, tra uomini e donne?
Diciamo che il mondo dell’illustrazione è composto prevalentemente da donne. Questo perché essendo un lavoro in cui non è facile guadagnare molto, l’uomo che di solito è il perno economico della famiglia non rischia molto come illustratore. È anche un mestiere da ricchi se vogliamo, tant’è che spesso gli illustratori, uomini e donne che siano, iniziano quest’attività venendo già da famiglie agiate. Una cosa che ho notato nella mia carriera è che quando sono stata assunta come dipendente finivo per diventare un numero, mentre da quando sono diventata freelance chi mi stava intorno vedeva la persona e l’artista, non l’azienda per cui quella persona lavorava. Quando inizio un progetto oggi arriva Sara Benecino, non la dipendente dell’azienda tal dei tali e questa è una cosa che ha notevolmente accresciuto la mia autostima. Ci sono momenti in cui pensi che sarebbe più semplice essere dipendente, perché comunque non è semplice ogni mese tirarsi fuori uno stipendio, però poi alla fine quando riguardi quello che fai tutto diventa relativo, perché la soddisfazione è enorme. Discriminazioni assolutamente no: il mondo dell’illustrazione è un mondo ovattato, ci conosciamo tutte e siamo tutte amiche, ci si aiuta a vicenda, non si è invidiose l’una dell’altra perché ognuna ha un proprio stile e se una casa editrice sceglie una anziché un’altra vuol dire che cercava un altro tipo di tratto.
– Si dice spesso che in Italia i libri non vendono, la gente non legge. Cosa hai da dire tu in proposito? Quali sono i più grandi problemi del mondo editoriale italiano secondo te?
Un problema enorme in questo senso secondo me sono i prezzi di copertina: i libri costano troppo rispetto agli altri Paesi. Non può dare un albo illustrato a un bambino piccolo vendendolo a 18 o 20 euro: è logico che il bambino quel libro lo pasticcerà, ci giocherà perché non capisce ancora che cosa sia un libro e lo prende come mezzo per giocare. Immagina una famiglia normale, che non ha soldi da buttare, diventa impegnativo comprare tanti libri. Un altro problema è che in Italia si cerca sempre la morale, qualcosa di insegnamento. All’estero non c’è questa ricerca a tutti i costi. Ci sono ad esempio libri il cui unico scopo è far ridere, che non devono per forza insegnare qualcosa ai bambini. Molti progetti io li propongo in Italia e non riesco a venderli perché mancava una morale, poi li do agli agenti esteri e le case editrici straniere mi chiedono di finirli al più presto e ne vogliono altri di quel tipo. Ho scritto sei libri in due anni per il mercato cinese. La logica dell’“e vissero felici e contenti” è una cosa che alla lunga annoia. Bisognerebbe puntare più sul divertimento e meno sull’educazione. E magari fare come in Francia che si fa l’edizione classica a 15 euro e l’edizione più piccolina a 5-6 euro: è lo stesso libro ma si può pasticciare e giocare a cuor leggero.