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«“U casot” a Rusbela»: a Boves il nuovo video di Giovanni Bianco

28 ottobre 2024 | 09:44
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«“U casot” a Rusbela»: a Boves il nuovo video di Giovanni Bianco

Nuova opera del ricercatore che, partendo da esperienza personale, racconta tutto un mondo montano

Il ricercatore della memoria bovesana Giovanni Bianco («La Muntagnina») presenta, ad ingresso libero, un nuovo vide venerdì 8 novembre, alle 21, dal ristorante «Toju» a Castellar di Boves, «sempre disponibile». Son immagini da lui girate da aprile sin ad ottobre, per un totale di centosei minuti montati. Protagonista è «“U casot” a Rusbela» («Il casotto a Rosbella»), un punto di incontro di amici, che diventa pretesto per raccontare di vite, di rapporti umani, solidi ed affettuosi, di amore, in vari modi espresso, per la montagna. Nella locandina la fotografia di fondo è di Beppe Andreis…
Ci anticipa, come sempre, dettagliatamente, l’opera…
«Stavolta racconto la storia di un gruppo di giovani, di cui facevo parte, che negli scorsi anni Settanta, affittano un casotto a TetPra Du Soil, nella montana frazione di Rosbella di Boves, e lo vivono come parte di una grande passione per la montagna. Lo faccio in ricordo di uno di noi già mancato, Angelo Giordanengo, detto “Gelu” (1949-2020), dei pochi ancora residenti nei pressi del casotto, con un particolare sguardo al cambiamento climatico in atto e alla attiva manutenzione dei sentieri».
Elenca le testimonianze, stavolta a partire dalla sua…
«Giovanni Bianco, classe 1949, nel primo spezzone ricorda lo spirito dell’iniziativa e introduce il ricordo di Gelu, affidato ad una serie di foto con sfondo musicale, messe a disposizione dalla moglie Franca.
La famiglia Maccario di Tet Nariou, Carmen, classe 1947, e Michele, classe 1936, nati a Rosbella, ricorda la figura dello zio “Gepu ‘d la Puragnina” che abitava a Tet Chel Prit non lontano dal casotto sul sentiero di accesso. Bravo artigiano fornisce al gruppo ciastre, bastoni, sedie, sgabelli, cornici di ottima fattura. Carmen ricorda la zia Teresina, sorella di Gepu sposata a Tet Bep Din in zona Malandré di Robilante (clip tratta da “Nostraterra” 2014 in cui tra l’altro dice “mi sun l’ultima ‘d Rusbela e l’ultima del Malandré”). Michele ricorda la scuola a Rosbella e in particolare il compagno di classe Mario Dalmasso, fratello di Aldo Dalmasso, tragicamente dilaniato da un residuato bellico trovato in alpeggio a dieci anni, con la cerimonia funebre da Rosbella a Boves, seguita da tutta la classe, con la maestra e gli abitanti della frazione.
Altro spezzone è dell’autore, che illustra il percorso a piedi (primi anni Settanta, crisi energetica, targhe alterne, più facile partire con bicicletta o camminando) per Via Peroca, allora semplice mulattiera, poi il sentiero verso il centro di Rosbella. L’incontro è con il primo residente, “Trumé”, poi con “Gepu”, “Bep du truc”, “Pinu muntagna”, e l’ultimo con “Gian”, papà di Aldo, vicino di casotto. Racconta i lavori per rendere abitabile il rustico e il furto subito della “mastra” usata per le stoviglie, imprestata da Luciano cugino di “Gelu”, con scasso della porta d’ingresso.
Tino Giordano, altro classe 1949, ricorda, anche lui, con emozione, i “vicini di casa”, il contributo dei genitori per la sistemazione del casotto, l’impegno manuale del gruppo, la grande armonia e soprattutto “tante grignade” (“tante risate”). Testimonia l’impegno per la pulizia di un sentiero in Bisalta con la promessa di una cena da parte del Comune, “spetuma ncu ades” (“aspettiamo ancora adesso”). Cita le escursioni alla Croce, ai rifugi nelle vallate vicine, i “trekking” (allora chiamati “giri”) al Gran Paradiso e Monte Bianco, in Valle d’Aosta e Trentino.
Rosanna Pellegrino, classe 1958, ricorda la vita in famiglia e poi, col marito, a Rosbella, le elementari accanto alla chiesa fino all’ultimo anno 1968, con la maestra Caterina Bosio, (clip dell’insegnante dal video “Maestri” 2012). Ricorda nonna, “Regina”, di Rosbella e papà Toni “du Re”, alpino sul fronte greco albanese. Il saluto finale è con caffè in cortile offerto dal gentile vicino Giampiero.
Beppe Andreis, classe 1950, storica figura bovesana, filmato a Garessio, dove oggi vive, ferroviere e fotografo, ricorda i venticinque anni di lavoro in officina, come manutentore di locomotive (vapore, diesel, elettriche), insieme al collega “Gelu”, magazziniere. È un quarto di secolo di automobile condivisa, di gite in montagna, anche al casotto con i colleghi. (carrellata di immagini d’autore, di montagna e locomotive). Commovente (la persona ha da sempre grande emotività e sensibilità) è il ricordo del collega e amico già scomparso, ferroviere e “muntagnin”.
Le sorelle Baudino, Anna Maria, classe 1949, e Francesca, classe 1958, figlie di “Bep du Truc”, son con documenti e foto d’epoca, dei lavori nella neve, nella stalla e nei boschi, nonché con immagini d’autore fornite da Fausto Giuliano (rivoirese attentissimo alla storica cultura locale). Ricordano con emozione i balli “in Piazza” con la fisarmoica di “Giuanin du Casot Bianc (clip dal primo video di Bianco, ”La nostra storia”, del 2007). Poco sopra il loro Tet du truc, commentano il pilone che ricorda l’uccisione da parte dei nazifascisti del nonno Costanzo Baudino, di settanta anni, e dell’amico Bartolomeo Maccario, di settantasette anni, nonno di Onorato.
Onorato Dalmasso, classe 1945, nato a Rosbella, già impiegato in Municipio, testimonia la dura vita di chi come la sua famiglia aveva solo una vacca e due capre. Il papà è nato a Vernante, Vallone San Giovanni, come il Parroco allora di Castellar e Rosbella (documentazione di Ezio e Clara). Onorato testimonia la sua generosità che gli ha consentito di frequentare le medie a Cuneo e le superiori a Milano. Ricorda la scuola a Rosbella con la cugina Mariuccia, nata nel 1946, sposata Landra, vivente in cascina, zona San Rocco Castagnaretta, Cuneo (clip da “Terrapulita” 2014, in alpeggio con marito e nipote, a Peirafica di Casterino). In questi giorni son protagonisti del documentario di RAI Tre ”Transumanza”, su RAI play. Infine ricorda il nonno materno Bartolomeo Maccario, mitragliato dai nazifascisti anche se anziano, ultrasettantenne.
Pierangelo Barale, classe 1949, ricorda la sua formazione di alpinista con Carlo Pellegrino, Renzo Bellone e Flavio Cavallera, l’addestramento alla scuola di Aosta e, insieme all’autore e Angelo, il “Trio John Piter e Gelu”, il trekking di una settimana tra Valle Maira e Ubaye, a diciotto anni (trasporto in corriera da Boves, a Cuneo ed Acceglio, poi a piedi con zaini e tenda, all’epoca pesante assai). Stati percorso ed organizzazione molto faticosi, soprattutto per chi di scarsa preparazione, ma, sottolinea, “utile per fare esperienza e conoscere la montagna”.
Altro spezzone serve a rilevare l’entusiasmo di allora del regista di fronte alla proposta del trekking, date le origini del padre Alfredo in Valle Maira, nato a Dronero ma con radici nel Vallone di Pagliero, frazione San Damiano Macra, con tre fratelli e due sorelle emigrati per lavoro in Francia, l’amicizia, poi, della francese Denise, conosciuta a Berlino durante un incontro tra insegnanti e studenti europei, vissuta al casotto e successivamente al “ciabutin” di Tet Bataia.
Un secondo ricordo è dedicato a Stefano Cravesano, 1951-2022, compagno di trekking in Trentino, nel 1973, insieme a “Gelu”, altra importante esperienza di cui oggi, purtroppo, resta l’unico testimone (clip da “Boves inverno”, 2008-09, insieme di testimonianze di esercenti e artigiani di Boves, Stefano come “panaté”).
Giuseppe Baudino, classe 1940, residente con la famiglia a Tet Lisot, pochi minuti dal casotto, appare insieme ad altri tre nuclei, totale dodici persone, tra cui quello di Onorato, con gli altri già scesi. Aveva piccola stalla, con  mucche e capre, facevano “tumin e tume” (tomini e tome) che, seccate, venivano utilizzate in alpeggio. In seguito i Baudino si trasferiscono ai Merlat in riva al Colla, dove ancora oggi con la moglie cura orto e giardino; con il trattore sale a Lisot che tiene pulito e ordinato, a tutto vantaggio di chi sale a Tet Pra du Soil ed alla Roccarina. Ricorda la tragica morte dello zio di tredici anni insieme all’amico di quattordici, travolti dalla valanga durante il trasporto a valle del fieno con le “truse”, mentre i “grandi” lavoravano in Francia come stagionali. Ricorda la cura dei castagni che quando vecchi venivano sostituiti da nuovi innesti e soprattutto concimati, come un frutteto.
Aldo Pellegrino, classe 1946, ricorda gli inverni al casotto raggiunto grazie alle “ciastre” (racchette) di “Gepu”, con tanta neve da spalare per poter entrare, subito accendere il “putagé” (la stufa) e fare la polenta. Evidenzia in una foto dell’interno, semplice ma funzionale, la lampada a carburo, la “cetilene”, che come le candele illuminava la piccola stanza. Il casotto era esposto a est dove il sole a mezzogiorno se ne andava, quindi ci si spostava per pranzo sotto un portico dei vicini, soleggiato e riparato, oppure si saliva in dieci minuti al Prato del Soglio. Un giorno abbiamo comprato un capretto da “Gepu”, l’abbiamo preparato e mangiato, come a nozze. Stavamo bene insieme, in armonia, eravamo sempre allegri, “quando ci penso mi commuovo!”.
Aldo Dalmasso, classe 1947, residente vicino al casotto, insieme al papà Gian e al fratello maggiore Beppe, costituisce una storica famiglia di allevatori di mucche, “Piemontesi”, in alpeggio, attività che continua ancora oggi con i nipoti, dal Prato del Soglio a Ceresole, lavoro ben documentato nel presente e nel passato (dai vari video di Bianco sui “margari”, ndr), con Aldo ben attivo. Ricorda la tragica morte del fratello più giovane, Mario che viene dilaniato da un residuato bellico casualmente trovato in alpeggio ai tralicci, a dieci anni, mentre frequentava la IV elementare a Rosbella, “era così intelligente!”. A Tet Pra du Soil allora vivevano undici famiglie che d’inverno aprivano il sentiero verso la scuola, la chiesa di Rosbella e Castellar, “tanto lavoro, tanti passi, fino alla Croce a tagliare fieno, ammucchiarlo sul ‘fenè’ (covone) e d’inverno portarlo a valle con le ‘truse’ (slitte). Non mi sembra vero di aver fatto tutto questo, eppure l’abbiamo fatto per anni, oggi nessuno sarebbe più in grado di farlo, sun pi bun (non son più capaci)!”.Così testimonia oggi Aldo, alla Casa di riposo di Entracque, indicando le montagne della Valle Gesso. Conclude con gli occhi lucidi, “vedi quelle montagne, lassù andavamo in autunno, prima della neve a tagliare legna!”.
Il finale ha sfondo musicale di una serata in piazza, per la festa patronale di San Bartolomeo, con immagini che riassumono sei mesi a Rosbella e dintorni, con i ritratti di tutti i testimoni».