Cuneo Pride, Francesca dalla psicologia alla lotta per i diritti nella Granda
“Noi eterosessuali diamo molto per scontato le cose: per noi è normale baciarci o tenerci per mano per strada, non avere problemi sul lavoro a causa della nostra sessualità o poter affittare un alloggio, ma per chi fa parte della comunità LGBTQIA+ è ben diverso.”
Una nuova intervista per Oltre l’etichetta, la rubrica di Cuneo24 che dà voce a chi, ogni giorno, lavora per un mondo più inclusivo e giusto.
La storia di oggi è quella di Francesca, laureata in psicologia, attivista e madre. Una donna che ha dedicato la sua vita all’ascolto e al supporto delle persone in difficoltà, sia nella sua carriera professionale che nel suo impegno sociale. Dopo un’ampia esperienza nell’ambito dell’abuso e maltrattamento e nella protezione e sostegno ai minori, oggi Francesca si impegna nel direttivo di Arcigay Cuneo, occupandosi di formazione sulla salute sessuale e affettiva nelle scuole e nelle aziende. Come madre, insegna i principi di accettazione e libertà ai propri figli preparandoli a un futuro nel rispetto del prossimo.
Oggi ci racconta il suo percorso, le sfide e i sogni per un futuro più inclusivo.
Grazie Francesca per esserti resa disponibile per questa intervista. Pensi che eventi come il Cuneo Pride siano importanti per una città come Cuneo e per la provincia in generale?
Eventi come il Cuneo Pride sono molto importanti, perché rispetto a Milano, Torino o altre grandi città noi siamo una provincia più isolata, chiusa anche geograficamente e questo non aiuta ad eliminare i pregiudizi e gli stereotipi alimentati molto spesso da una non conoscenza delle situazioni altre dall’eteronormatività.
Ci racconti qual è stato il momento che ritieni più gratificante, fino a oggi, durante la tua esperienza in Arcigay?
In realtà non c’è un solo momento gratificante, anzi molti. Oltre a organizzare il Pride mi sento soddisfatta quando, invitati nelle scuole o nelle aziende, osservo gli sguardi delle persone e nel mare di occhi ne intravedo alcuni che vogliono veramente e sinceramente conoscere e capire oppure durante i nostri momenti di testing in cui partecipano giovani della comunità, ma anche etero a dimostrazione che la salute sessuale è importante per tutti.
Durante la tua esperienza nel direttivo di Arcigay, ti viene in mente un episodio in cui il tuo impegno ha cambiato concretamente la vita di una persona?
Non penso che il mio impegno abbia cambiato concretamente la vita di una persona: il lavoro è di squadra ed ognuno di noi mette a disposizione del gruppo e degli altri le proprie competenze ed esperienze. Non siamo in grado di cambiare le vite degli altri ma proviamo a sostenerli, ad accoglierli, a creare un ambiente sicuro e non giudicante senza dimenticare che siamo persone e spesso sbagliamo o commettiamo errori.
Ti sei mai trovata nella situazione di dover difendere il tuo impegno per Arcigay e il Cuneo Pride sia in ambito lavorativo che nella cerchia delle tue amicizie?
Non mi sono mai trovata a difendere il mio impegno in Arcigay, ma sicuramente a giustificare la mia scelta come eterosessuale attivista sì, o spiegare l’importanza del pride, ma anche rispondere a domande di amici che volevano conoscere meglio le difficoltà che le persone LGBTQIA+ incontrano nella loro vita. Noi eterosessuali diamo molto per scontato le cose: per noi è normale baciarci o tenerci per mano per strada, non avere problemi sul lavoro a causa della nostra sessualità o poter affittare un alloggio, ma per chi fa parte della comunità LGBTQIA+ è ben diverso.
Sei madre di due figli, quali consigli daresti a dei genitori per spiegare ai propri figli l’importanza dell’inclusività?
Essere genitori in questo momento sicuramente non è facile e non ci sono formule magiche. Inclusione significa appartenere a qualcosa e sentirsi accolti nelle nostre differenze. Il miglior insegnamento lo diamo noi genitori con l’esempio: dobbiamo essere empatici, provare a metterci nei panni degli altri, non aver paura di dimostrare che a volte siamo vittime di stereotipi, ma che con la conoscenza e le giuste informazioni cerchiamo di combatterli e infine dovremmo far sentire liberi i nostri figli di esprimere idee, paure o pregiudizi senza giudicarli ma cercando di capirli, accoglierli nei loro diversi modi di pensare rispetto a noi senza cercare di cambiarli, l’inclusione inizia in famiglia!
Secondo te, quanti passi deve ancora fare la comunità cuneese per diventare più inclusiva nei confronti della comunità LGBTQIA+?
I passi da fare sono tanti, ma secondo me è importante continuare ad esserci, a non essere invisibili, a rispondere alle domande, a farci conoscere e far conoscerei motivi delle nostre lotte.
Cosa diresti a chi crede che il Cuneo Pride non porti benefici concreti alla comunità?
Il Pride non è solo una festa, ma richiama alla continua lotta per i diritti che non sono mai conquistati per sempre e per le libertà di tutti. Come abbiamo detto nel nostro comunicato stampa, il pride non è solo per noi stessi ma per coloro che in molte parti del mondo sono ancora emarginati, torturati e perseguitati a causa della propria identità. Nella nostra comunità purtroppo gli episodi di discriminazioni sono parecchi sia in ambito lavorativo e sociale, basti pensare che a volte cercando casa le persone si sentono dire che non vengono dati in affitto gli alloggi a chi possiede cani e gatti o se si è gay oppure una volta fatto coming out sul lavoro si diventa invisibili quando fino a pochi giorni prima si era parte di un gruppo, senza dimenticare gli atti di bullismo nelle scuole o le violenze fisiche che le persone subiscono solo perché si tengono per mano. Quindi come vedi il pride serve per fare capire e conoscere per cosa si lotta e non è vero che non ci sono problemi nella provincia di Cuneo!
Hai mai vissuto episodi di discriminazione?
Io non ho vissuto episodi di discriminazione legati alla mia sessualità perché appartengo a quel gruppo che la società ha stabilito statisticamente essere il più “normale”, ma quando ero bambina ed adolescente sì, non per il mio orientamento ma perché troppo scura di carnagione (venivo spesso chiamata Calimero) in una provincia dove potevi essere di origini meridionali e quindi più isolata o non essere figlia di laureati in una piccola scuola superiore dove tutti si conoscevano e tu non facevi parte di quel gruppo di eletti. Sicuramente non erano discriminazioni gravi come quelle che le persone LGBTQIA+ vivono quotidianamente ma ricordo bene la sensazione di inadeguatezza, di vergogna che la me bambina e adolescente provava.
Qual è la cosa che più ti ha colpito o che hai scoperto lavorando per i diritti LGBTQIA+ a Cuneo?
La prima cosa che ho scoperto è la professionalità dei volontari che frequentano corsi di formazione per ampliare e migliorare le proprie conoscenze e competenze perché essere volontari non è sinonimo di improvvisazione ma frutto di studio e aggiornamenti. La seconda cosa non meno importante è l’accoglienza da parte della comunità nei miei confronti, pur essendo io la diversa.
Se ci proiettassimo con l’immaginazione nel 2034, che cambiamenti speri siano stati fatti nella provincia di Cuneo in termini di inclusività?
I cambiamenti che spererei di vedere nel 2034 sarebbero tanti ma so anche che l’essere umano è imperfetto e la lotta ai pregiudizi sarà difficile ma spero che come un sasso lanciato nel mare che forma tanti cerchi le nostre istanze e le nostre battaglie si allarghino sempre di più per potere garantire a più persone possibile la libertà di essere se stessi.