Cuneo Pride, la storia di Andrea e l’importanza di conoscere per capire
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“Il pregiudizio più grande che ho affrontato nella vita e nel lavoro è quello che nasce dentro di me: il pregiudizio sulle categorie. Mi riferisco all’abitudine di classificare le persone in base al gruppo a cui appartengono e di considerarle attraverso l’etichetta della loro categoria piuttosto che come individui. È un pregiudizio che continuo a portarmi dentro, su cui rifletto costantemente e che cerco di correggere, ma rappresenta il principale ostacolo nell’approcciarsi agli altri senza preconcetti.”
La rubrica di Cuneo24 dedicata alle persone che lottano per un mondo più inclusivo e giusto, continua il suo viaggio attraverso il Cuneo Pride. Oggi “Oltre l’etichetta” incontra Andrea. Tecnico sanitario di radiologia medica, ex sindacalista, referente per l’equità di genere presso l’Ordine delle Professioni Sanitarie di Cuneo e volontario di Arcigay Cuneo, Andrea ha sempre sentito il bisogno di contrastare le ingiustizie e dare voce a chi spesso viene lasciato ai margini della società. Cresciuto con il sogno di un mondo più equo, il suo impegno va dalla sanità ai diritti civili, con un approccio basato sulla conoscenza: solo comprendendo l’altro possiamo davvero superare pregiudizi e discriminazioni. Andrea ci racconta un duplice aspetto dell’inclusività di Cuneo: da un lato un’accettazione e dall’altro delle resistenze che sfociano in battute che hanno origine da stereotipi radicati.
La sua storia ci accompagna in una riflessione profonda su quanto sia ancora difficile superare le barriere invisibili che ci portano a incasellare le persone in categorie rigide. La conoscenza è la chiave per scardinare i pregiudizi e riconoscere l’unicità di ogni individuo. Perché inclusione non significa solo accettare, ma comprendere davvero l’altro, senza etichette.
Ciao Andrea, grazie per aver accettato questa intervista. Partiamo subito dal contesto cuneese. Se dovessi descrivere il panorama attuale in provincia di Cuneo dal punto di vista dell’inclusività, come lo definiresti?
Sembrerebbe che la provincia di Cuneo sia, se non inclusiva, almeno abitata da persone tendenzialmente inclusive, almeno nella zona del cuneese. Però, in realtà, non è sempre così. Se pensiamo ad alcuni episodi, anche piuttosto gravi, accaduti di recente, come l’aggressione nei confronti di un giovane ragazzo omosessuale in Piazza Boves, vediamo che ci sono ancora situazioni molto poco inclusive.
C’è poi tutta la questione dell’ironia e delle battute rivolte sia alle persone LGBTQIA+ sia agli stranieri. Quindi emergono questi due aspetti: da una parte le persone vengono abbastanza accettate, magari perché è solo una questione di poca conoscenza, e quando si conosce qualcuno, si finisce per accettarlo. Dall’altra, però, esistono queste contraddizioni, come il fatto che si facciano battute sulle persone pur accettandole in certi contesti. A volte, come nell’episodio che ti ho raccontato, sembra proprio che certe persone abbiano bisogno di esprimere cattiveria, forse perché insicure o perché cercano di affermare una sicurezza personale colpendo gli altri.
Qual è stata problematica più grande che hai affrontato come referente per l’equità di genere all’interno dell’Ordine delle Professioni Sanitarie?
L’ignoranza, intesa come mancanza di conoscenza, riguarda tutti, me compreso. Io stesso mi consideravo una persona abbastanza aperta, con conoscenze e comprensione su certe tematiche, ma ho notato che mi mancavano molti elementi. Ho dovuto e voluto, con piacere, affrontare questi limiti, approfondire, conoscere e capire. Ancora oggi studio e cerco di comprendere meglio. Spesso si pensa che i problemi che riguardano l’equità di genere, o più impropriamente la parità di genere, siano unicamente quelli legati alle donne. In realtà, ho capito che esistono moltissime sfaccettature e che ognuna di esse è accompagnata da una serie di pregiudizi. Il tema del conoscere per capire, che è stato anche il titolo del convegno che abbiamo organizzato, è diventato per me un punto fermo. Vorrei estenderlo alle persone con cui mi rapporto, affinché si diffonda, anche in piccola parte, come una macchia d’olio. Perché dove c’è conoscenza, c’è comprensione e accettazione. E anche le differenze possono essere espresse con rispetto, senza opposizione né violenza.
Cosa rappresenta per te il Cuneo Pride e quanto può essere determinante per una provincia come quella di Cuneo?
Ho scoperto il Cuneo Pride per caso. Sapevo dell’esistenza dei Pride, ma non mi ero mai interessato particolarmente e, devo ammettere, avevo anche un certo snobismo nei confronti di queste manifestazioni. Poi ho conosciuto Arcigay Cuneo e ho sentito parlare del primo Pride, quello di tre anni fa, anche se non vi ho partecipato attivamente. Da lì ho iniziato a fare volontariato e a iscrivermi ad Arcigay. Ho trovato un gruppo molto interessante e accogliente, e così ho cominciato a partecipare più attivamente al secondo Pride, anche nella parte organizzativa. Credo che il Pride sia fondamentale per la provincia di Cuneo perché porta alla luce tante realtà che altrimenti rimarrebbero invisibili, non considerate o semplicemente ignorate. Ritengo molto importante il taglio dato negli ultimi anni, più riflessivo e meno orientato alla festa. So che questo approccio non piace a tutti nella comunità LGBTQIA+, ma penso che sia essenziale. Ho visto molte persone partecipare ai Pride, non solo membri della comunità LGBTQIA+, ma anche tanti cittadini di Cuneo. Ho notato la presenza di molte persone sicuramente eterosessuali, e credo che questo sia un segnale positivo: significa che questo orgoglio viene sostenuto anche da persone esterne alla comunità.
Quale esperienza o pensiero ti ha spinto a impegnarti in prima linea per i diritti civili?
Diciamo che è qualcosa che ho dentro da sempre, quasi una questione cromosomica. Fortunatamente, sono riuscito a trasmetterlo anche ai miei figli. Ho sempre avuto questa passione nel combattere ogni forma di sopruso e nel cercare di fare in modo che le persone abbiano ciò di cui hanno bisogno per essere sé stesse.
Fin da bambino, a 5 o 6 anni, sognavo un mondo senza ingiustizie, in cui tutti potessero andare d’accordo e stare bene. Era un sogno da bambino, ma è un desiderio che porto ancora con me, anche se oggi non sono particolarmente ottimista sul fatto che possa diventare realtà. Di conseguenza, ogni volta che mi sono trovato di fronte a un’ingiustizia o alla negazione di un diritto, ho sentito il bisogno di mettermi in gioco. È qualcosa che mi appaga profondamente, mi dà un senso. È per me arricchimento, non per “guadagnarsi il Paradiso”, ma perché qualcuno non viva l’inferno qua.
Cosa pensi sia necessario che facciano le istituzioni locali per favorire la crescita di una società più inclusiva?
Sicuramente suggerirei dei luoghi di incontro e aggregazione, soprattutto per i giovani, ma anche per persone di tutte le età. Spazi in cui ci sia la possibilità di raccontare e raccontarsi, di scoprire e conoscere le diversità, ma soprattutto di comprenderne il valore, il pregio e la ricchezza.
C’è stato un episodio durante la tua attività di volontariato in Arcigay che ti ha particolarmente colpito?
È stato l’incontro con una persona che, fisicamente era un uomo, ma che chiedeva di essere riconosciuta come donna. Una persona sicuramente molto tormentata. A un certo punto l’associazione l’ha persa di vista, non ci siamo più frequentati, e poi abbiamo saputo che si era suicidata. Ricordo che, quando la incontravo, mi suscitava ansia, un senso di inadeguatezza. Eppure, mi incuriosiva molto. Ho pensato a lungo alla sua scomparsa e a come sono stato poco capace di essere comprensivo, vicino ed empatico nei suoi confronti.
Ancora oggi, ogni volta che penso a lei, mi pervade un senso di inadeguatezza. Non tanto perché credo che, se avessi avuto maggiore capacità di relazione, le cose sarebbero andate diversamente, probabilmente non sarebbe cambiato nulla, ma perché mi rendo conto che il suo percorso si è concluso e io mi sono perso la possibilità di esserne in qualche modo parte, non ne sono stato capace.
Hai in progetto nuove iniziative dedicate all’inclusività che possano avere un impatto sulla comunità cuneese?
Per quanto riguarda i miei progetti e iniziative, mi piacerebbe organizzare altri incontri, anche se non è semplice. Si tratta di incontri formativi rivolti ai professionisti sanitari, che non hanno un impatto diretto sull’intera comunità cuneese, ma coinvolgono comunque una parte di essa. Inoltre, la partecipazione coinvolge anche persone dell’hinterland, dei paesi vicini, oppure di altre città come Savigliano, Fossano, Mondovì, Alba.
Non so se quest’anno si riuscirà a riorganizzare il Pride, ma penso che un Pride ancora più orientato a far riflettere le persone che ci incrociano potrebbe essere una buona iniziativa. Non ho ancora chiaro in che modo, né se sarà possibile realizzarlo in tempi brevi, ma credo che creare momenti che stimolino le persone a riflettere e a comprendere sia fondamentale.
Qual è il pregiudizio più grande che hai affrontato nella tua vita o nel tuo lavoro?
Il pregiudizio più grande che ho affrontato nella vita e nel lavoro è quello che nasce dentro di me: il pregiudizio sulle categorie. Mi riferisco all’abitudine di classificare le persone in base al gruppo a cui appartengono e di considerarle attraverso l’etichetta della loro categoria piuttosto che come individui. È un pregiudizio che continuo a portarmi dentro, su cui rifletto costantemente e che cerco di correggere, ma rappresenta il principale ostacolo nell’approcciarsi agli altri senza preconcetti. È simile a quelle distorsioni parattatiche di cui si parla in psicologia: vedo una persona che mi ricorda qualcun altro che ho conosciuto e, senza accorgermene, imposto il mio rapporto con lei in base ai ricordi e alle emozioni legate a quella persona. Lo stesso accade quando incrocio qualcuno e, invece di vederlo per chi è, lo associo immediatamente alla categoria a cui penso appartenga: parlo con una persona di colore, e lo inserisco nella categoria dei neri; con un omosessuale, e lo classifico come parte della categoria degli omosessuali, con tutti i pregiudizi, positivi o negativi, che ho su quel gruppo.
La vera sfida è riuscire a liberarsi da queste categorizzazioni e incontrare le persone per quello che sono nel momento presente, nel rapporto diretto tra me e loro.
Qual è il tuo augurio per i futuri Cuneo Pride e per il movimento LGBTQIA+ nella provincia?
L’augurio più grande che posso fare al movimento LGBTQIA+, non solo nella provincia, ma in tutto il Piemonte, in Italia, in Europa e forse anche nel mondo, è che un giorno non ci sia più bisogno di Pride, né di doversi difendere o farsi vedere per affermare la propria esistenza, il proprio orgoglio. Che questa realtà venga accettata come parte normale della società, senza discriminazioni, in modo che non sia più necessario manifestare il proprio orgoglio, perché già riconosciuto e implicito nella comunità.